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GIULIANO SANTORO – Le radici e le ramificazioni del “modello Reggio”

11 Ott

gsantoroQuesto blog riparte da dove aveva cominciato: la punta sud dello stivale di Reggio Calabria si trova di nuovo al centro della scena – tragica – della politica italiana. È successo che il ministro dell’interno ha sciolto l’amministrazione comunale reggina per “contiguità” con la ‘ndrangheta. Si vociferava da settimane e il viavai dalla prefettura al Viminale che dall’estate procedeva incessante faceva presagire una soluzione talmente netta. C’è poco da aggiungere: la relazione su Reggio preparata dalla commissione preposta non solo non fa sconti ma contiene elementi ancora non venuti alla luce sulla commistione tra politica e criminalità organizzata e sul controllo da parte delle ‘ndrine delle aziende municipalizzate.Il fatto è che – come abbiamo sostenuto mesi fa ragionando del “modello Reggio” che l’ex sindaco Giuseppe Scopelliti voleva adattare a tutta la Calabria e addirittura proponendosi come punto di riferimento del Pdl post-berlusconiano nel Meridione – questa storia ha radici che vanno al di là del contingente e ramificazioni che si estendono ben oltre il territorio reggino.

Cominciamo dalle radici: esse rimandano ad una trattativa che ha coinvolto settori dello Stato, neofascisti e organizzazioni mafiose e che ha anticipato di almeno venticinque anni la camera di compensazione che si aprì alla fine della Prima Repubblica, quando si trattava di cercare nuovi equilibri di potere. Si era negli anni della guerra fredda e della strategia della tensione, fiumi di quattrini arrivavano da queste parti e bisognava coniugare il mantenimento della pace sociale, la pregiudiziale anti-comunista e il consenso ai partiti di governo.

Così, la sapienza militare delle organizzazioni di estrema destra, il radicamento sociale delle ‘ndrine e il bonario pragmatismo dei politici camminarono insieme in un’alleanza controversa e complessa. Ognuno faceva il suo gioco, ognuno portava acqua al suo mulino, non si esclusero momenti di tensione e ricontrattazione delle reciproche sfere d’influenza. Ma il meccanismo funzionò, evolvendosi fino al ventennio breve berlusconiano, e ai cascami di questo autunno infuocato. Il fatto che al centro del lungomare Falcomatà, voluto dal sindaco ex comunista della “primavera reggina” dei primi anni Novanta al quale è stato intitolato, le amministrazioni oggi messe sotto accusa dal provvedimento di scioglimento abbiano voluto il busto minaccioso di Ciccio Franco, capo dei “Boia chi molla” negli anni Settanta, fa capire quale sono le loro radici culturali e quali siano i miti fondativi del ceto dirigente postfascista.

La debolezza della politica, per di più, ha permesso alle organizzazioni criminali un salto di qualità: la città metropolitana battezzata dall’ex sindaco e attuale governatore Giuseppe Scopelliti, sostiene la relazione che ha portato allo scioglimento e al commissariamento del Comune,  non è solo a rischio infiltrazioni mafiose: “almeno in alcuni settori” il governo della cosa pubblica ormai sarebbe  nelle mani della ‘ndrangheta.

Le ramificazioni portano altrove. Conducono all’espansione incontrollata del modello ‘ndranghetista. Proprio oggi, l’assessore alla casa della giunta lombarda retta con ostinazione imbarazzante da Roberto Formigoni è stato arrestato. È accusato di aver “manipolato la democrazia” comprando voti con l’intermediazione di alcune ‘ndrine operanti al Nord ormai da tempo.  Nella crisi, la borghesia mafiosa ha soldi da investire, potere da esercitare, affari da estendere. Riesce a moltiplicare il consenso e a creare veri e propri blocchi sociali di interesse economico fino a rendere indistinguibile la libera intrapresa privata e il riciclaggio di denaro.

Fino a quando questo modello economico – capace di impoverire e asservire al tempo stesso, anche questa una caratteristica universale dei modelli di sfruttamento – avrà modo di riprodursi e di continuare ad estendere le sue ramificazioni, la repressione, gli arresti e gli scioglimenti delle amministrazioni comunali (pur necessari) riusciranno appena a scalfire la forza della ‘ndrangheta, la prima azienda italiana per fatturato.

Giuliano Santoro

(10-10-2012)

Tratto: Micromega

 
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Pubblicato da su 11 ottobre 2012 in ATTUALITÀ & CRONACA

 

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