Cominciamo dalle radici: esse rimandano ad una trattativa che ha coinvolto settori dello Stato, neofascisti e organizzazioni mafiose e che ha anticipato di almeno venticinque anni la camera di compensazione che si aprì alla fine della Prima Repubblica, quando si trattava di cercare nuovi equilibri di potere. Si era negli anni della guerra fredda e della strategia della tensione, fiumi di quattrini arrivavano da queste parti e bisognava coniugare il mantenimento della pace sociale, la pregiudiziale anti-comunista e il consenso ai partiti di governo.
Così, la sapienza militare delle organizzazioni di estrema destra, il radicamento sociale delle ‘ndrine e il bonario pragmatismo dei politici camminarono insieme in un’alleanza controversa e complessa. Ognuno faceva il suo gioco, ognuno portava acqua al suo mulino, non si esclusero momenti di tensione e ricontrattazione delle reciproche sfere d’influenza. Ma il meccanismo funzionò, evolvendosi fino al ventennio breve berlusconiano, e ai cascami di questo autunno infuocato. Il fatto che al centro del lungomare Falcomatà, voluto dal sindaco ex comunista della “primavera reggina” dei primi anni Novanta al quale è stato intitolato, le amministrazioni oggi messe sotto accusa dal provvedimento di scioglimento abbiano voluto il busto minaccioso di Ciccio Franco, capo dei “Boia chi molla” negli anni Settanta, fa capire quale sono le loro radici culturali e quali siano i miti fondativi del ceto dirigente postfascista.
La debolezza della politica, per di più, ha permesso alle organizzazioni criminali un salto di qualità: la città metropolitana battezzata dall’ex sindaco e attuale governatore Giuseppe Scopelliti, sostiene la relazione che ha portato allo scioglimento e al commissariamento del Comune, non è solo a rischio infiltrazioni mafiose: “almeno in alcuni settori” il governo della cosa pubblica ormai sarebbe nelle mani della ‘ndrangheta.
Le ramificazioni portano altrove. Conducono all’espansione incontrollata del modello ‘ndranghetista. Proprio oggi, l’assessore alla casa della giunta lombarda retta con ostinazione imbarazzante da Roberto Formigoni è stato arrestato. È accusato di aver “manipolato la democrazia” comprando voti con l’intermediazione di alcune ‘ndrine operanti al Nord ormai da tempo. Nella crisi, la borghesia mafiosa ha soldi da investire, potere da esercitare, affari da estendere. Riesce a moltiplicare il consenso e a creare veri e propri blocchi sociali di interesse economico fino a rendere indistinguibile la libera intrapresa privata e il riciclaggio di denaro.
Fino a quando questo modello economico – capace di impoverire e asservire al tempo stesso, anche questa una caratteristica universale dei modelli di sfruttamento – avrà modo di riprodursi e di continuare ad estendere le sue ramificazioni, la repressione, gli arresti e gli scioglimenti delle amministrazioni comunali (pur necessari) riusciranno appena a scalfire la forza della ‘ndrangheta, la prima azienda italiana per fatturato.
Giuliano Santoro
(10-10-2012)
Tratto: Micromega